Eccoci alla Favola del Successo, la collana di libri dedicata alle persone che hanno un metodo evolutivo da comunicare ai lettori. Eccoci con l’intervista a Paolo Tagliaferro e Monica Pellegrini. Oggi abbiamo con noi due artisti affermati, eppure sempre in continua e curiosa evoluzione dei propri talenti. Proviamo ora a immaginare insieme il vostro libro, rivolgendoci ai giovani: ragazzi immersi nei giochi e nei social, strumenti che li allontanano dai propri talenti, proiettandoli in un mondo quasi totalmente passivo, limitato da confini stabiliti dal programmatore o dal creatore dei contenuti. Un mondo dove l’interazione si riduce spesso a semplici commenti, reazioni a stimoli. Oppure si tratta di un agire all’interno di realtà virtuali — siano esse videogiochi o altro — che restano comunque racchiuse entro limiti invalicabili. Non si può uscire da quei confini, non si può accedere a un terreno davvero creativo come quello dell’arte. In questo senso, il vostro messaggio, attraverso il libro, potrebbe rivolgersi prima di tutto ai genitori: per incoraggiarli a stimolare nei figli l’apprendimento della disciplina e del gusto per l’arte, così da condurli verso una vita più ricca e completa.
PT&MP: “Sì, ottima idea, Dario. Vogliamo portare l’attenzione sui temi della creatività e, soprattutto, sulla curiosità per i particolari. Poi c’è la tecnica, che è fondamentale per acquisire il senso di ciò che facciamo, invece di restarne semplici spettatori. Per esempio, Monica lavora con ragazzi tra gli 11 e i 14 anni. Nel loro caso, ciò che stiamo pensando di divulgare potrebbe essere davvero utile. Notiamo che, in generale, i giovani tendono a spendere più soldi in altre attività, rispetto all’arte pittorica. A quell’età possiamo anche comprendere che un genitore preferisca investire in qualcosa che permetta al figlio di sfogarsi, stancarsi fisicamente e distrarsi dallo studio, così magari a casa non crea scompiglio. L’arte, però, rispetto a tutto ciò, offre qualità diverse ma fondamentali per la consapevolezza dello spirito e la cultura del bello. Paolo lo osserva anche insegnando all’Accademia Cignaroli di Verona, dove ha perlopiù corsisti adulti: ci sono anche alcuni giovani che si cimentano nella pittura iperrealista, molto complessa, ma se affrontata con il linguaggio e i metodi giusti, può essere alla loro portata. Anche le persone più mature possono avvicinarsi e apprendere un metodo di supporto valido, che aiuta realmente a ottenere soddisfazione dalla pratica artistica. Monica aggiunge che l’arte è sì un’attività individuale, ma ha anche un enorme potenziale nel connettere gruppi di lavoro, coinvolgendo persone motivate a realizzare un’opera di interesse comune. In questo processo educativo, ha visto ragazzi con un’autostima inizialmente bassissima acquisire fiducia nelle proprie capacità, proprio attraverso l’esercizio artistico costante. L’arte, in sostanza, può far uscire i giovani dal nichilismo del “non posso fare nulla” o “non sono capace”, ancora prima di provarci. Con la giusta guida artistica, possono mettersi alla prova e scoprire, spesso, risultati rassicuranti”.
Quindi, con la pazienza necessaria, anche loro si rendono conto che, in realtà, persino le persone che all’apparenza sembrano negate per l’arte possono creare qualcosa di bello, e soprattutto di autenticamente loro!
PT&MP: “L’importante è iniziare a dipingere, facendo anche solo il minimo indispensabile, tanto quanto basta per non scoraggiarsi davanti alla tela bianca, e poi esercitarsi. La pittura iperrealista richiede molta disciplina e anni di pratica, ma si comincia sempre dalla voglia di fare e di mettersi alla prova, senza abbattersi per il proprio livello iniziale. Anche questo insegna l’arte. Questo approccio è molto bello, perché restituisce riconoscenza, insieme a una profonda soddisfazione. Dall’esperienza di Monica, all’inizio un ragazzo può voler rappresentare un gatto in modo molto libero. In pratica, lo disegna come sa fare, come ha sempre fatto. Poi, con il tempo e l’esercizio, e grazie all’insegnamento delle tecniche giuste e del giusto approccio, impara a rappresentarlo in modo realistico. Esistono metodi che tutti possono apprendere e applicare, indipendentemente dal talento. Il mio obiettivo è portarli ad ottenere risultati artistici in libertà, cioè a diventare indipendenti nel creare. Purtroppo, nelle scuole — dove lavoro da parecchi anni — non si dà all’arte, e alla disciplina che le è propria, la giusta considerazione. Spesso gli insegnanti non guidano gli allievi a disegnare in modo realistico, ma li coinvolgono in attività legate al bricolage, al collage, ad altri lavori magari creativi, ma che non insegnano a rappresentare la realtà né a comprenderla per poterla riprodurre. Nelle scuole mancano laboratori artistici e quindi manca anche la possibilità di crescere a contatto diretto con l’arte. Dall’esperienza di Paolo emerge che, nelle accademie, quasi mezzo secolo fa si insegnavano pittura tradizionale e disegno, mentre oggi molte tecniche sono state abbandonate. Quando Paolo era allievo all’Accademia, desiderava dipingere nello stile rinascimentale, ma i suoi insegnanti gli dicevano: “Non possiamo insegnarti a dipingere come i maestri del Rinascimento: quello deve già essere dentro di te.” Così i giovani venivano spinti a formarsi come artisti indipendenti, e non solo come esecutori abili, come invece accadeva un tempo, con ottimi risultati. Oggi, invece, sembra che chiunque possa fare arte, senza bisogno di studio e pratica. Ma la realtà è molto diversa!”.
Esatto, lo notiamo anche noi, io e il mio collega Serafino Ripamonti: molte persone, pur non conoscendo il latino o l’etimologia, desiderano fare i ghostwriter e contribuire alla diffusione della bella lingua, ma mancano dei fondamenti necessari anche solo per pensare con chiarezza. Perché, se siamo italiani nativi, pensiamo in italiano. Avere meno parole, meno categorie, meno associazioni, rende il nostro pensiero più povero. Come possiamo immaginare di aiutare altri a esprimersi con la lingua, se non possediamo noi stessi le categorie del pensiero, che sono fornite proprio dalle parole? Ognuno, naturalmente, lo fa nella propria materia. Anche la scrittura è arte. Per questo vogliamo promuovere l’eccellenza, proprio come state facendo voi. Oggi, molti non si prendono più nemmeno il tempo di impugnare una penna: c’è una pigrizia espressiva, e superarla è fondamentale per sentirsi davvero appagati. L’arte è, in fondo, una forma di estetica, no? E l’estetica, nel senso più autentico, è qualcosa che punge, come scrive Roland Barthes nel suo libro Camera chiara. Bisogna trovare e produrre uno stimolo capace di provocare una reazione nell’osservatore, risvegliandolo, così come l’artista si è svegliato per coglierlo e renderlo reale.
PT&MP: “Esatto, Dario. Un cane può essere disegnato e colorato in modo iperrealista, così da catturare l’attenzione che merita. I ragazzi, invece, sono spesso abituati a colorare tutto allo stesso modo, senza distinzione tra un animale e un oggetto. Si può però insegnare loro a percepire e rappresentare le texture con un metodo specifico. Quando, per esempio, capiscono che l’effetto pelliccia si ottiene con tratteggi e che quello liscio va reso in altro modo, imparano a riconoscere le superfici e a colorare con consapevolezza. Da quel momento iniziano davvero a vedere le cose. Se vengono guidati nell’osservazione e invitati a provare da soli a rappresentare ciò che vedono, trovano da sé le risposte, senza che debbano sempre essere gli adulti a dirgliele. E quando scoprono qualcosa attraverso la creazione, provano una soddisfazione tale da entusiasmarli e allontanarli dalla noia e dalla pigrizia. Nell’arte iperrealista, si assiste a una straordinaria chiarezza visiva. È grazie all’attenzione e all’educazione dello sguardo che, in fase iniziale, si costruisce la scena tralasciando i punti luce, per non comprometterne la pulizia. Si lavora prima sulla tridimensionalità, e solo alla fine si disegna la luce, con grande cura, rispettando la sua forza espressiva e la capacità di mettere in risalto i dettagli. Dall’esperienza di Paolo, da bambino c’erano piccoli accorgimenti che non riusciva a gestire nel dipingere: non capiva come mantenere netti e precisi certi tratti. Poi, lavorandoci ogni giorno — ancora oggi dipingo otto o più ore al giorno — sono riuscito a ottenere l’effetto desiderato. Mi sono concentrato, ho ascoltato il mio silenzio interiore, ho dipinto, ho cercato di capire ogni cosa, ogni dettaglio, come dev’essere trattato. Quest’esperienza, maturata in anni di lavoro, da quando avevo 13 anni fino a oggi che ne ho più di 40, mi ha insegnato che tutto si acquisisce con metodo e costanza. E continuo ancora oggi a cercare come spingere oltre il mio talento. Ogni quadro è un’esperienza nuova. Anche se ho dipinto un’arancia dieci anni fa e ne ero soddisfatto, oggi la vedo in modo diverso: il mio occhio è più allenato, la mano più precisa, la mente più attenta. Ho acquisito un senso nuovo delle cose, che ora si trasmette in modo automatico e inconsapevole al pennello, producendo dettagli sempre più realistici e definiti”.
Tutti vorrebbero dei risultati perfetti, ma si ha paura della perfezione. Invece, per me è uno stimolo. Mi spiego meglio: il tendere alla perfezione è uno stimolo, quando non si percepisce frustrazione, ma felicità di ogni risultato migliore raggiunto. È la rincorsa sana dell’eccellenza che anche io, come scrittore, perseguo ogni giorno. Paolo e Monica, voi mi sembrate sulla stessa lunghezza d’onda.
PT&MP: “Concordiamo. È fondamentale acquisire le giuste abitudini per affrontare qualunque cosa, a partire dall’eccellenza, che va perseguita con coscienza, tecnica, metodo e anche con ordine”.
Che bella la vostra sinergia, Paolo e Monica! Il vostro libro potrebbe davvero essere scritto a quattro mani. Secondo me potrebbe anche celebrare in parte la vostra carriera, ma soprattutto rivolgersi ai genitori dei giovani, per motivarli all’arte come via per trovare un senso nella propria vita, scacciare la pigrizia e scoprire il valore del lavoro come strumento per mettere alla prova i propri talenti. Solo così possono sentirsi capaci di fare qualcosa di buono per sé e per gli altri. Il vostro potrebbe essere un libro dialogico, capace di accompagnare i lettori in una riflessione a due voci. Credo possa essere utile per aiutare i genitori a comprendere che l’arte è un passaggio imprescindibile per acquisire la consapevolezza del proprio talento, ma anche un metodo per esercitarlo. Perché, giustamente, se io stesso non scrivessi per gran parte della giornata, non avrei la capacità di esprimere i miei pensieri con le parole scritte.
PT&MP: “Assolutamente, Dario. Possiamo affrontare insieme questo tema che ci sta molto a cuore. In particolare, ci preme trasmettere ai lettori la consapevolezza di poter diventare persone responsabili attraverso l’esercizio dell’arte, che è anche un metodo di vita, gratificante ed espressivo. È necessario, prima di tutto, educare i genitori: lo faremo con il libro. Sono loro i primi che devono riconoscere l’utilità dell’arte per i propri figli… perché la scuola, purtroppo, non lo fa! Anche i ragazzi dotati sia nell’arte che nella matematica vengono spesso indirizzati verso il liceo scientifico, e così la loro vena artistica si esaurisce presto. Ma non dev’essere per forza così! Faremo del nostro meglio per mostrarlo. I giovani, grazie all’arte, possono costruirsi un futuro nella moda, nella grafica, nella pubblicità, nel cinema e persino nei fumetti”.
Per concludere l’intervista, vi confesso che ascoltandovi ho pensato a un titolo per il vostro libro: “A regola d’arte”. Mi piace molto, perché suggerisce l’idea di un’opera che aiuti i genitori a educare i figli alla disciplina e allo studio, intesi come strumenti fondamentali per far emergere il talento. Perché il talento, se non viene praticato, non può manifestarsi. Serve esercizio, serve pratica costante — non solo per avere successo, ma per sentirsi vivi, espressivi, e consapevoli delle proprie capacità. Tutto ciò contribuisce ad alzare l’autostima, grazie al rinforzo positivo generato dalle belle opere, purché supportate da studio tecnico e da una mentalità resiliente e orientata all’eccellenza.
PT&MP: “Siamo d’accordo, Dario. Ci piace l’idea di portare nel mondo di oggi la capacità di astrarre, per esempio, l’idea di un albero per poterlo rappresentare. Questo stimola la mente a sintetizzarne l’essenza, per poi arricchirla con i dettagli realistici che la rendano riconoscibile e percepibile agli occhi dell’osservatore. Grazie per questa bella intervista”.