Eccoci di nuovo all’appuntamento con le interviste de La Favola del Successo. Oggi protagonista è un giovane, ambizioso e con una visione chiarissima: Jacopo Cerquozzi, imprenditore immobiliare brillante, con alle spalle un percorso non solo interessante, ma anche profondamente etico.
Allora, Jacopo, cominciamo subito col conoscerti meglio. Parlaci un po’ di te, della tua figura. Immagina che un giorno verrà scritto un libro su di te. Da dove cominceremmo?
“Beh, direi che inizierei presentandomi come un imprenditore immobiliare. Ho fondato la mia azienda circa tre anni fa, anche se opero in questo settore da sei. Il cuore pulsante della nostra attività è la rigenerazione di immobili in disuso: li acquistiamo, li rivalutiamo in maniera sostanziale – non solo estetica – e li rivendiamo. Portiamo quasi tutti gli immobili in classe energetica superiore, rendendoli più efficienti e sostenibili. Non è un semplice restyling: c’è un lavoro profondo dietro, che restituisce valore reale agli spazi. È una rigenerazione vera e propria, un contributo concreto al recupero del patrimonio immobiliare italiano”.
È molto significativa l’espressione “immobili in disuso”. È come se parlassi di un patrimonio dimenticato, lasciato a sé stesso, che invece voi aiutate a tornare vivo…
“Esatto. Questi immobili, apparentemente abbandonati, sono asset reali che possono tornare a essere centrali, funzionali, belli. È una forma di riqualificazione che dà un impatto importante. Ma c’è modo e modo di farla: tanti lo fanno, ma spesso senza approfondire, senza un vero valore aggiunto. Noi invece vogliamo incidere”.
Quindi, se abbiamo capito bene, per fare questo lavoro ci vuole fiuto. Bisogna saper “vedere oltre”, capire il potenziale nascosto di un’abitazione che magari, all’apparenza, non dice nulla. È Corretto?
“È un lavoro complesso. Bisogna avere uno “status mentale” aperto e un’ottima gestione del rischio-rendimento. A me hanno insegnato una cosa molto importante: trattare i soldi degli altri come se fossero bambini. Massima attenzione e cura. Questo significa fare operazioni ben ponderate. Generare valore sì, ma in sicurezza”. Le nostre operazioni hanno un ritorno importante. In media, non accettiamo progetti che rendano meno del 30% sull’operazione. E se ci impieghiamo otto mesi, il rendimento annuale è ancora più alto. Questo ci consente di attrarre investitori con fiducia e trasparenza”.
In un mercato immobiliare dove spesso i beni perdono valore, come si spiega questa tua strategia vincente?
“Beh, è proprio nell’oscillazione che si trova il margine. È vero, molte persone hanno fatto investimenti perdenti – magari una casa pagata 50 mila euro, con un mutuo che alla fine li porta a pagarne 80, e il valore oggi è crollato. Ma con lungimiranza si può invertire la rotta. Si può investire in zone che si stanno riqualificando, in contesti in evoluzione. Ma ci vuole visione. Molti dei miei investitori iniziali erano diffidenti, scottati da esperienze negative. Alcuni avevano investito da soli, altri con operatori poco trasparenti. Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare chiarezza. Ti butti? Fallo con il paracadute. Cioè, con cognizione, dati alla mano e visione strategica”.
Pensando al tuo futuro libro un ultimo capitolo si potrebbe intitolare “Se prendo una sola”. Perché a volte può capitare, no? L’impianto nascosto che non funziona, i muri marci, le sorprese…
“Certo. Per questo consiglio sempre di diversificare. Come in borsa, un portafoglio di immobili permette di gestire meglio i rischi. Alcune operazioni possono andare meno bene, ma altre possono andare oltre le aspettative. E poi bisogna essere pronti a rimediare, a gestire il problema con etica.
Parlando di investimenti particolari il pensiero corre anche alle aste immobiliari. È un tema caldo, spesso circondato da pregiudizi. Tu come lo vedi?
“In realtà, noi per etica personale non partecipiamo alle aste. So che molti lo fanno e dicono: “Se non ci vai tu, ci andrà qualcun altro.” Ma io rispondo: “Benissimo, che ci vada qualcun altro.” Perché? Perché da un’asta, il debitore esecutato può uscire malissimo, con ferite economiche profonde e, magari, ancora con un debito pendente da chiudere”.
Quindi, in sostanza, anche se può sembrare un affare, può diventare un’operazione eticamente discutibile?
“Esatto. Io preferisco intervenire prima dell’asta, con uno strumento chiamato saldo e stralcio. Si tratta di un accordo tra noi, il creditore (spesso una banca) e il debitore, per saldare il debito con una cifra concordata, evitando l’asta. In questo modo il debitore può uscire pulito, senza ulteriori danni”.
È un approccio win-win reale. È la conferma di quel tuo principio che i soldi degli altri vanno trattati come bambini: con cura…
“Assolutamente. Per me, guadagnare non deve mai essere a discapito di qualcun altro. Quando ho scelto questo mestiere, ho deciso di connettere il business alla parte sociale. Non basta il profitto: serve rispetto, serve etica, serve responsabilità. Ogni operazione ha una sua storia. C’è il venditore in difficoltà, il compratore con specifiche esigenze, l’investitore che cerca sicurezza. Il mio lavoro è fare da ponte, raccogliere i “desiderata” di tutte le parti e farli combaciare, creando valore per tutti”.
Parliamo ora di un concetto spesso abusato, ma poco capito: flipping immobiliare. Tu come lo definiresti?
“Flipping non è solo comprare e rivendere. È trasformare un bene in qualcosa di più prezioso, più utile, più funzionale. Lo aggiorniamo alla contemporaneità, lo rendiamo attuale. Non è speculazione: è valorizzazione reale”.
In questa valorizzazione, gioca un ruolo chiave anche il miglioramento energetico, no?
“Sì, ogni intervento che facciamo mira a portare l’immobile almeno in classe energetica A. Cappotti termici, infissi nuovi, colonnine per auto elettriche, pannelli solari: tutto per far sì che l’immobile sia fruibile nel presente e nel futuro. Per fare tutto questo, ci vuole occhio, intuizione. Devi immaginare cosa può diventare un immobile, devi già sapere dove mettere il montascale, dove aprire un accesso secondario, chi sarà il tuo potenziale acquirente. È un lavoro da architetto, imprenditore, geometra e psicologo, tutto insieme. E devi anche capire che ogni zona ha clienti diversi con esigenze diverse”.
Qui entra in gioco anche la squadra. Nessuno fa tutto da solo. Hai parlato spesso di team: come costruisci il tuo?
“La squadra è tutto. Non bastano competenze tecniche. Serve intelligenza sociale, come dici tu: la capacità di lavorare insieme, di creare relazioni efficaci, di condividere un obiettivo comune. Ognuno nel mio team porta un’emozione, una sensibilità diversa. Questo fa la differenza”.
Sappiamo che il tuo impegno va oltre l’azienda. Ti occupi anche di solidarietà vera. Vuoi raccontarci qualcosa?
“Assolutamente. Uno dei miei progetti è quello di piantare alberi, per restituire qualcosa alla natura che, indirettamente, la mia famiglia ha sfruttato in passato con un’azienda di legname. È un gesto simbolico, ma pieno di significato. E poi c’è il progetto in Kenya: stiamo valutando un terreno per costruire e ampliare una scuola, fare beneficenza direttamente sul posto. Ogni anno, dedichiamo una parte dei nostri utili a queste attività. Gli investitori che ci sostengono avranno una targa con il loro nome sul muro della scuola. È un modo per dire “grazie” e fare del bene insieme”.
Parliamo ora di qualcosa di più profondo. Ormai questa lunga intervista è quasi un libro, e come sai, a noi piace immaginare anche un possibile titolo, che in questo caso potrebbe essere “Fiuto per il flipping immobiliare”. E in questo libro sicuramente ci potrebbe stare un capitolo dal sul tema: il perché di Jacopo, ovvero sul motivo profondo per cui fai tutto questo. Cosa ti spinge?
“È una domanda che mi sono fatto tante volte. Sai, credo che ognuno arrivi a un punto della propria vita in cui fa uno switch mentale. Un momento in cui inizi a vedere le cose in modo diverso. Per me è stato così. Ho capito che volevo costruire qualcosa che fosse utile, non solo per me, ma per gli altri. Volevo unire il business a un principio etico. Guarire ciò che era stato ferito, ridare equilibrio. Questo è il mio “perché”. Faccio un esempio banale, ma significativo. Un tempo, se ero al semaforo e qualcuno mi suonava appena scattava il verde, mi innervosivo. Oggi invece penso: magari quella persona ha avuto una giornata difficile, magari sta soffrendo. È cambiata la mia lettura del mondo. Non più reazione, ma comprensione. E questo approccio mi ha aiutato anche nel lavoro”.
Tu sei molto giovane, eppure hai una visione così matura. Ti andrebbe di dedicare un capitolo del nostro libro ai ragazzi della tua età o anche più giovani? Un messaggio per chi vuole iniziare?
“Certo. Io oggi ho 25 anni, e se posso essere una fonte di ispirazione, lo faccio volentieri. Voglio dire ai ragazzi che non è facile, ma è possibile. Questo lavoro richiede determinazione, pazienza, apertura mentale. E all’inizio, sì: devi lavorare anche gratis, se serve, per imparare. Cercare un mentore. Essere umili. Non si tratta di vendere un prodotto da 2 euro. Si tratta di dire a qualcuno: “Vuoi investire centinaia di migliaia di euro nel mio progetto?” Non è scontato. Devi essere credibile. Devi avere un perché solido, una visione autentica. Solo così puoi superare la barriera della diffidenza”.
Tu hai un approccio molto innovativo nella gestione degli investimenti. Ce lo racconti?
“Sì. Noi applichiamo un meccanismo chiamato liquidation preference. In parole semplici, significa che noi guadagniamo solo se prima guadagna il nostro investitore. Se promettiamo il 20% di rendimento in un business plan, e l’investimento va bene, il cliente prende il 20% e noi guadagniamo solo da lì in poi. Se però qualcosa va storto – perché, si sa, gli imprevisti ci sono – e l’investimento rende meno, rinunciamo al nostro guadagno. Quel margine diventa un cuscinetto per proteggere il cliente. Questo approccio ha due vantaggi: mostra che ci mettiamo la faccia e crea una fidelizzazione reale, perché chi investe con noi sa che siamo dalla sua parte. In un’operazione immobiliare, può succedere che si pensasse di vendere a valore e invece si riesce a qualcosa meno. Bene, il mio margine andrà ad assorbire parte o tutta la perdita di guadagno del mio cliente. In pratica assorbo io, non il mio cliente la minor capacità di lucro dell’affare. Questa è la nostra promessa”.
Jacopo, il tuo messaggio – che in questa lunga intervista abbiamo cercato di raccogliere e tradurre in parole – è chiaro e potente. Non si tratta solo di investimenti, ma di cambiamento culturale. Giusto?
“Sì. Vogliamo dimostrare che si può guadagnare bene facendo il bene. Che si può costruire qualcosa che duri, che non sia una corsa al profitto, ma una creazione di valore condiviso. Questa è la mia direzione. E finché avrò la forza, continuerò a perseguirla”.
Grazie Jacopo per aver condiviso con noi il tuo tempo, le tue idee e il tuo “perché”. È stato un privilegio!
GUARDA LA VIDOINTERVISTA A JACOPO CERQUOZZI: