“Pensa in grande con le bambole” – Francesca La Bua immagina il suo libro con la Favola del Successo

Interviste

Francesca, grazie per essere con noi oggi alle interviste de La Favola del Successo. Vogliamo raccontare una storia che non è soltanto la tua, ma quella di chiunque stia cercando una strada alternativa, creativa, personale.

Vogliamo partire da ciò che ti ha portata fin qui: le bambole dei mestieri. Cosa ci racconti a tal proposito?

“Grazie a voi. Per me, parlare di questo progetto è come parlare di una parte della mia anima. Tutto è iniziato in un periodo inaspettato: durante la pandemia. Un momento di stop forzato, di silenzio, che però ha generato in me un’urgenza creativa”.

Un tempo sospeso, che per molti è stato vuoto, ma che tu hai riempito di senso, è corretto?

“Esattamente. Stavo seguendo un corso che, a causa delle restrizioni, è stato interrotto. Mi sono trovata a farmi una domanda che, in altri momenti, avrei scartato come troppo filosofica: “Dove ti vedi tra cinque anni? Così, quasi per gioco, ho creato una bambola che mi rappresentava. Era me, in miniatura, con tutto ciò che sognavo, ciò che facevo, ciò che sentivo. E da lì, tutto ha preso forma”.

Hai iniziato a raccontarti con le mani…

“Sì. E subito dopo, è accaduto qualcosa di bellissimo: le persone attorno a me hanno cominciato a volerne una anche per loro. Una bambola che raccontasse il loro mestiere, il loro talento. E così, quel piccolo gesto personale è diventato collettivo. È diventato uno specchio”.

È affascinante come tu riesca a restituire un mestiere non come una semplice professione, ma come una forma d’identità. Le tue bambole non “imitano”, ma esprimono!

“È proprio questo il punto. Il mestiere, per me, non è mai solo una funzione sociale. È una parte di chi siamo. Quando realizzo una bambola, cerco sempre di entrare nei panni – emotivi, umani – della persona che rappresento. Non mi limito ai dettagli esterni. Voglio cogliere il cuore del lavoro che quella persona fa. Voglio che si senta vista”.

Come un ritratto dell’anima. E sai, questo ci fa riflettere sul fatto che viviamo in un’epoca che rischia di dimenticare il valore dei mestieri. Tutto sembra diventare veloce, virtuale. Ma tu ci ricordi che c’è ancora spazio per ciò che è tangibile, per ciò che si tocca con le mani…

“Io credo che sia proprio nelle mani che risieda la memoria. Ogni volta che creo, sento che sto custodendo qualcosa di antico. E al tempo stesso, sto costruendo qualcosa di nuovo”.

Le tue bambole hanno qualcosa di magico. Vengono quasi viste come amuleti, oggetti portafortuna, simboli. Ma sono anche visioni. Come se anticipassero chi vogliamo diventare, giusto?

Sai, capita spesso che mi chiedano di realizzare bambole “proiettive”. Una studentessa di medicina che vuole vedersi già medico. Un giovane che sogna di aprire un’azienda. Oppure un pescatore che vuole tornare a pescare, ma non può più farlo. È come se attraverso quella bambola si creasse una visualizzazione attiva. Un piccolo simulacro del sogno”.

È una forma di immaginazione concreta. Una visione che prende forma. Come nella tradizione giapponese della Daruma, quella bambola a cui si disegna un occhio quando si formula un desiderio, e il secondo quando lo si realizza.

“Esatto. È proprio così. Ed è anche terapeutico. Perché vedere ogni giorno davanti a sé la versione di sé che si sogna… cambia il modo in cui ci si comporta nel presente”.

È come una bussola dell’anima. E non è un caso che molte tue creazioni siano dedicate a momenti delicati: lutti, transizioni, guarigioni…

Sì, spesso mi commissionano bambole per persone che stanno attraversando momenti difficili. Ricordo un amico che ha voluto regalare a un caro malato una bambola che li ritraeva a pescare insieme, come facevano una volta. Era una bambola augurale. Un gesto simbolico di cura e memoria”.

In fondo cosa è l’arte, se non una forma di vicinanza?

“È ciò che ci resta, anche quando tutto cambia. L’arte è la nostra possibilità di restare fedeli a noi stessi. Di riconoscerci”.

Ma c’è anche la parte di fatica, no? Perché trasformare l’arte in lavoro non è facile. Anzi. Spesso è un salto nel vuoto…

“Verissimo. All’inizio c’è la passione, ma poi c’è anche la gestione. La burocrazia, la promozione, i materiali. Mio padre dice sempre: “Un artigiano senza strumenti, non è un artigiano.” E aveva ragione. Ogni guadagno lo reinvestivo in strumenti migliori. In materiali nuovi. Era – ed è – una forma d’amore”.

E anche una forma di resistenza. Come una lampadina che fa luce proprio grazie al fatto che il filamento si oppone al passaggio della corrente. L’arte, per brillare, ha bisogno anche della fatica.

“La passione, infatti, ha in sé un doppio significato. Ti anima, ma ti fa anche soffrire. Ma è una sofferenza creativa. Una fatica che genera bellezza”.

E quella bellezza diventa un dono per gli altri. E anche un invito a conoscersi. Soprattutto per i più giovani…

“Sì, purtroppo i ragazzi oggi sono spesso sopraffatti da stimoli esterni. Passano ore sui social, seguendo modelli che non li rappresentano. Fare le bambole, per me, è stato anche un modo per riscoprirmi. E ora spero che il mio lavoro possa aiutare altri a riscoprirsi”.

È un’educazione alla lentezza, all’ascolto. E anche all’ozio creativo, quello spazio vuoto che non è perdita di tempo, ma terreno fertile per le idee.

“Esattamente. Le mie prime bambole sono nate proprio dal silenzio, dalla noia generativa. E nei momenti di crisi, spesso, creo meglio. Quando tutto va liscio, rischio di smarrire la scintilla”.

È quasi una chiamata interiore. Francesca, tu non realizzi solo bambole. Tu crei specchi simbolici. Mappe di sogni. Totem personali.

“Mi piace pensare che sia così. Che ogni bambola sia un invito a credere. Non solo in sé stessi, ma anche negli altri. Nei mestieri dimenticati. Nei sogni futuri. Nei dettagli piccoli, che fanno grande la vita”.

E forse è proprio da qui che dovrebbe partire anche un tuo libro. Un viaggio tra ispirazione, creatività, empatia. Con le tue bambole come guide silenziose e che si potrebbe proprio intitolare “Pensa in grande con le bambole”. Cosa ne dici?

“Sarebbe bello. Perché ogni bambola ha una storia. E ogni storia può essere una luce per qualcuno”.

E allora, concludiamo così: con un pensiero da lasciare a chi leggerà queste parole.

“Sì. Vorrei dire che ognuno di noi ha un dono. A volte è nascosto, a volte è solo addormentato. Ma c’è. E va cercato, protetto, coltivato. Se una bambola può aiutare qualcuno a scoprirlo, a immaginarlo… allora tutto questo ha senso. Non serve diventare famosi. Serve diventare veri. E fedeli a ciò che ci rende unici”.

La nostra intervista si conclude qui, ma siamo convinti che nell’aria resti la sensazione di avere ascoltato qualcosa di prezioso. Di aver ricevuto non solo parole, ma visioni. Perché le bambole di Francesca non sono oggetti. Sono promesse. Di bellezza. Di fiducia. Di futuro per imprenditori e giovani desiderosi di materializzare i propri sogni.

 

GUARDA LA VIDEOINTERVISTA A FRANCESCA LA BUA:

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