Eccoci a un nuovo appuntamento con le interviste de “La favola del successo”, la collana di libri dedicata agli imprenditori e a chi desidera accrescere il proprio know-how. Oggi dialoghiamo con Grazia Aiello, massoterapista specializzata nella cura e trattamento funzionale delle cicatrici.
Grazia, entriamo subito nel vivo del tema: quali effetti negativi possono avere le cicatrici sulla vita delle persone? E il loro trattamento come può cambiare la vita delle stesse?
“La cicatrice è una traccia, è un “no” dipinto sul proprio corpo. Dal punto di vista fisico la cicatrice non è solo un segno sulla pelle, è un’interruzione che compromette l’elasticità del tessuto muscolare e connettivo e può arrivare a limitare il movimento, generando conseguenze funzionali, posturali, ma anche emotive. Le cicatrici, infatti, non sono semplici inestetismi: possono generare disagio psicologico, influenzare le relazioni affettive, familiari e intime, fino a compromettere l’equilibrio emotivo, soprattutto quando colpiscono aree simbolicamente rilevanti, come nel caso di una mastectomia. L’impatto psicologico può essere così profondo da modificare la personalità, causando nei casi più gravi vere e proprie crisi depressive. Il trattamento non può quindi essere solo manuale o farmacologico: deve necessariamente coinvolgere anche la dimensione emotiva. Solo integrando il lavoro corporeo con un percorso di consapevolezza e accettazione, la persona può riconciliarsi con il proprio corpo e trasformare la cicatrice da fonte di dolore a parte integrante della propria identità. Trattare una cicatrice significa, prima di tutto, prendersi cura della persona nella sua interezza”.
Quanto tempo serve per accettare e trattare una cicatrice?
“Non esiste un tempo standard: ogni persona ha una storia, un carattere, una sensibilità diversa. Anche la posizione della cicatrice incide profondamente. Una cicatrice su un’area funzionale o intima, come nel caso di una mastectomia, richiede un percorso più delicato, sia fisico che emotivo. La zona ascellare, ad esempio, coinvolge muscoli fondamentali per i movimenti quotidiani: sollevare un braccio, afferrare un oggetto, vestirsi. La limitazione funzionale si intreccia spesso con un disagio psicologico, soprattutto quando la cicatrice interferisce con la propria immagine corporea e la sfera relazionale”.
Quali ostacoli si incontrano nel trattamento?
“Il primo vero ostacolo non è fisico, ma emotivo. Molte persone non riescono neppure a toccare la propria cicatrice, figuriamoci a lasciare che lo faccia un operatore. È quindi necessario instaurare prima un contatto empatico, costruire fiducia, entrare in sintonia con quella parte ferita e spesso rifiutata. Solo così si può iniziare il percorso terapeutico, fatto di manipolazioni, massaggi, tecniche di scollamento e trattamenti locali”.
E come fai ad avvicinarti a quel dolore?
“Alle volte, parlando, ingannando quasi il paziente, arrivo per vie traverse alla cicatrice. Nel momento in cui la persona si apre, mi racconta, mi permetterà inconsciamente di toccare la cicatrice e di trattarla. E da quel momento io gli insegno ad accettarla, a trattarla, a curarla”.
Come avviene il processo di guarigione?
“La guarigione non è solo il miglioramento estetico o il recupero funzionale. Come ho detto il primo passo è permettere che la cicatrice venga toccata, poi imparare a farlo da soli, a prendersene cura quotidianamente. Questo porta alla piena accettazione: la cicatrice non è più un nemico, ma parte integrante del proprio corpo e della propria storia. Come un oggetto che, a forza di vederlo ogni giorno, smettiamo di notare, anche la cicatrice smette di attirare attenzione, diventa parte di noi”.
Come dicevi, è un processo tanto fisico quanto psicologico…
“Esatto. Dal punto di vista fisico, abbiamo ormai acquisito molte conoscenze. Sappiamo, ad esempio, quanto una cicatrice possa influire sul sistema posturale. È noto che un muscolo reciso, dal punto di vista anatomico e funzionale, sviluppa forti tensioni. Conosciamo bene anche la struttura muscolare: ogni muscolo ha un’origine e un’inserzione, cioè si ancora a specifici punti ossei, permettendo al corpo di muoversi, coordinarsi e stabilizzare le articolazioni. Questo implica che una cicatrice può compromettere significativamente l’intera funzionalità dell’area coinvolta, e col tempo influenzare anche le strutture correlate. Non è solo il muscolo direttamente lesionato a essere coinvolto: altri muscoli, parte delle stesse catene funzionali e sinergiche, ne risentono anch’essi. Pertanto, l’impatto delle cicatrici sul sistema tonico-posturale è ben compreso. Ciò che resta ancora in gran parte da esplorare, invece, è la dimensione emotiva legata a queste lesioni, un aspetto altrettanto cruciale per il benessere e la qualità della vita del paziente”.
Dalle tue parole si percepisce l’importanza che attribuisci al trattamento inteso come un approccio globale, perché questo approccio è così importante?
“Perché, come ho già detto, una cicatrice non è mai solo un segno sulla pelle. Ha un impatto a 360 gradi: funzionale, emotivo, relazionale. Spesso, dopo un intervento chirurgico, non viene nemmeno spiegato come gestirla, come evitare che si infiammi o che si trasformi in un cheloide. Eppure, una cicatrice resta attiva per circa due anni: durante questo tempo può influenzare profondamente la qualità della vita. Il lavoro terapeutico deve quindi essere completo, integrando tecniche manuali, consigli farmacologici e un supporto emotivo. Solo così si può trasformare quella che all’inizio era un “no” del corpo in un “sì” alla propria identità, alla propria storia”.
Visto che siamo in conclusione della nostra intervista, vorremmo portarti un’ultima riflessione che viene da un grande filosofo e psicologo del secolo scorso, che si chiama Jaspers, il quale diceva che la perla è il risultato della ferita dell’ostrica. Noi la guardiamo per la sua bellezza, però questa bellezza viene da una ferita…
“È un’immagine molto affascinante e pertinente anche per le cicatrici. Infatti una cicatrice potremmo anche definirla così: come un dolore che si cristallizza”.
Si potrebbe dire che da una cicatrice e dal dolore che essa rappresenta, si può arrivare infine a trarre qualcosa di positivo. È corretto?
“Esattamente. Il percorso di accettazione del trattamento della cicatrice è anche un cammino nel quale impariamo a conoscere meglio il nostro corpo e a capire come gestirlo. La cicatrice diviene uno strumento di conoscenza del nostro essere, di quel “mezzo” della nostra anima che è il nostro corpo, attraverso il quale riusciamo a esprimere la nostra spiritualità”.
Una prospettiva davvero speciale e positiva, Grazia! Con queste tue parole concludiamo l’intervista, ti ringraziamo per tutti questi consigli e per la tua profonda riflessione, nella speranza di vedere presto il tuo libro pubblicato nella collana de La Favola del Successo, del quale, come sempre ci siamo sbizzarriti a immaginare anche un titolo: “Vivere in equilibrio – Guida alla risoluzione delle cicatrici attraverso il metodo di Grazia Aiello”.